Perché la flessibilità nella filiera del lusso è essenziale oggi

La flessibilità nella filiera del lusso è oggi una qualità imprescindibile per affrontare le difficoltà di un mercato in continua trasformazione. Con ordinativi in forte calo, assenza di visibilità sulle commesse e una crescente pressione da parte dei brand, le aziende della filiera si trovano di fronte a un bivio strategico: adattarsi o rischiare di soccombere. La filiera del lusso attuale sta vivendo uno dei momenti più duri e critici che si ricordino da moltissimi anni. Sono ormai tristemente note le notizie pubbliche riguardanti casse integrazioni, chiusure aziendali e, in alcuni casi, veri e propri licenziamenti collettivi. Di fronte a queste sfide, il settore deve trovare nuove modalità per preservare l’eccellenza e rimanere competitivo, senza perdere di vista l’artigianalità e la qualità che lo rendono unico al mondo.

La crisi della filiera del lusso: un momento critico

La filiera del lusso sta vivendo uno dei momenti più difficili e critici degli ultimi anni. Le notizie di casse integrazioni, chiusure aziendali e licenziamenti collettivi sono purtroppo sempre più frequenti, delineando un panorama di crisi senza precedenti. Ordinativi in forte calo, assenza di visibilità sulle commesse e difficoltà nel pianificare la produzione interna stanno mettendo a dura prova la resilienza delle imprese del settore.

Quante aziende della filiera del lusso si trovano oggi con fatturati simili al periodo pre-Covid, ma costi di gestione attuali che sono almeno triplicati rispetto al 2019-2020? Quante imprese, spinte dall’euforia del mercato del 2022, hanno investito in assunzioni e infrastrutture, per poi trovarsi 2-3 anni dopo con margini insufficienti? E quante aziende stanno affrontando gravi problemi di liquidità, tanto da dover ricorrere ad aiuti statali?

Da dove proviene questa situazione complessa? È ancora corretto parlare di “crisi”, attribuendola esclusivamente a scenari geopolitici come la guerra russo-ucraina o la crisi immobiliare cinese, oppure il problema ha radici più profonde nell’organizzazione industriale? E, soprattutto, quali sono le possibili soluzioni per mitigare questi danni? Questo momento di difficoltà potrebbe persino trasformarsi in un’opportunità per ripensare e innovare la filiera del lusso.

Le cause profonde della crisi: geopolitica ed errori strategici

Molto si è discusso degli scenari geopolitici che negli ultimi anni hanno profondamente influenzato i mercati globali, inclusa la filiera del lusso. Tra gli eventi più significativi, la guerra russo-ucraina ha interrotto equilibri commerciali, mentre la crisi immobiliare cinese ha generato incertezze economiche nei principali mercati asiatici. Questi eventi hanno avuto ripercussioni dirette su due aspetti fondamentali.

Il primo riguarda la forte compressione del luxury tourism, ovvero il calo drastico dei viaggiatori con elevato potere di acquisto, prevalentemente orientali, che hanno storicamente rappresentato una delle fasce più redditizie per il lusso. Questa contrazione ha privato molti brand di una clientela fondamentale, soprattutto nei mercati europei e nordamericani. Il secondo aspetto, di natura finanziaria, è la svalutazione delle azioni di molte aziende leader del lusso, che ha eroso valore per gli investitori e limitato la capacità di innovare e investire in nuove strategie.

A completare il quadro si aggiunge l’incertezza politica negli Stati Uniti, con elezioni e cambiamenti normativi che hanno influenzato la stabilità dei mercati. Questi fattori, pur importanti, sono stati spesso utilizzati come spiegazione per una crisi che, in realtà, ha radici molto più profonde nell’organizzazione industriale e commerciale del settore.

Gli errori di valutazione industriale risalgono al periodo immediatamente successivo alla pandemia da Covid-19. La convinzione che i consumi sarebbero esplosi una volta terminati i lockdown ha spinto i brand a effettuare ordinativi massivi, generando un grave problema di overstocking. I magazzini pieni hanno messo sotto pressione le imprese della filiera, che si sono trovate a dover gestire una produzione sproporzionata rispetto alla reale domanda di mercato.

Nel 2022, molte aziende hanno registrato record di fatturato, utili e margini operativi, solo per ritrovarsi pochi mesi dopo in una situazione simile a quella pre-pandemia. Questa instabilità è stata ulteriormente aggravata da politiche di aumento dei prezzi finali, adottate dai brand per migliorare i risultati di breve termine. Tuttavia, questa strategia si è rivelata controproducente nel lungo periodo, allontanando i consumatori e, soprattutto, non generando benefici per i fornitori, che non hanno ricevuto un riconoscimento adeguato del valore aggiunto creato.

Se il problema è anche (e soprattutto) di natura industriale, è fondamentale chiedersi quali strategie possono essere adottate dalle imprese per navigare la tempesta. Questa crisi, per quanto complessa, potrebbe rappresentare un’opportunità per ripensare i modelli di business e riorganizzare la filiera del lusso su basi più solide e sostenibili.

La flessibilità come chiave per il futuro della filiera del lusso

Più che una crisi, è più corretto definirla una vera e propria ristrutturazione per la filiera del lusso. Non mancano del tutto gli ordini per le aziende, ma questi sono diminuiti drasticamente e si stanno spostando verso una produzione altamente progettuale. Sempre più spesso si tratta di lavorazioni complesse, dettagliate e difficili da realizzare, che richiedono un lavoro intenso di raccordo tra prototipia e produzione.

Questi ordini, oltre a essere più impegnativi, presentano un altro elemento critico: le specifiche tecniche cambiano frequentemente, aggiungendo ulteriore complessità al processo. Inoltre, le quantità per ordinativo sono sempre più ridotte, le quotazioni imposte dai brand sono in calo e i tempi di consegna sono estremamente ridotti, spesso con richieste per “ieri”. Tutto questo si traduce in margini estremamente bassi, talvolta inesistenti, per i fornitori.

In questo contesto, la parola d’ordine è una sola: flessibilità. Le imprese devono essere veloci, affidabili e capaci di adattarsi rapidamente, ma al contempo è fondamentale mantenere la sostenibilità economica. Come possono le aziende raggiungere questo equilibrio cruciale?

La chiave sta nel ragionare per priorità. Dal punto di vista industriale, significa concentrare le risorse sulle fasi ad alto valore aggiunto, quelle che incidono maggiormente sul prezzo finale del prodotto. Le attività più ripetitive, standardizzate o variabili, invece, devono essere decentralizzate o esternalizzate. Questo approccio consente ai fornitori diretti di restare flessibili senza compromettere la redditività.

Il modello tradizionale del “fare tutto in casa” è sempre meno sostenibile. Per le aziende più grandi, è essenziale snellire le strutture e adattarsi a livelli di business che ricordano quelli di 3-4 anni fa. Qui entra in gioco il rapporto di sub-fornitura: una soluzione che permette alle aziende di gestire le fluttuazioni del mercato con maggiore agilità. A differenza degli investimenti materiali, come macchinari o assunzioni, i rapporti di sub-fornitura possono essere modulati in base all’andamento del business, rendendoli ideali per il “mercato ad elastico” che caratterizza oggi la filiera del lusso.

Per costruire un futuro competitivo, è necessaria una spinta all’innovazione, non solo sul prodotto, ma anche nelle strategie commerciali. Solo così la filiera del lusso potrà mantenersi resiliente e sostenibile, navigando le complessità del mercato globale.

Una nuova visione per il futuro della filiera del lusso

La flessibilità è un valore fondamentale per l’industria del lusso moderna e si ottiene attraverso rapporti calibrati ed equilibrati di sub-filiera. La vera sfida per i fornitori diretti più strutturati sarà costruire sub-filiere veloci, qualitative e affidabili, in grado di presentarsi ai brand come partner forti e reattivi. Sebbene questo modello possa allungare la distanza tra i brand e la filiera, consente una democratizzazione del peso contrattuale, distribuendo il valore tra fornitori principali e sub-fornitori specializzati.

Per raggiungere questo obiettivo, i fornitori maggiori devono assumere un ruolo attivo nello sviluppo dei più piccoli, replicando ciò che i brand hanno fatto con loro. Ciò significa trasferire competenze gestionali, favorire la crescita e potenziare la pianificazione strategica dei partner più piccoli.
Questo processo richiede investimenti in rapporti commerciali moderni, che vadano oltre la mera produzione per abbracciare nuove modalità di collaborazione. Creare connessioni, fare rete e ampliare il proprio raggio d’azione, anche al di là del proprio settore merceologico, diventa cruciale per costruire una filiera capace di espandersi nei momenti di picco e proteggersi nei periodi di crisi.


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